Dopo i molti allarmi ripetuti da parte di associazioni ambientaliste arriva, con un sondaggio commissionato da Changing Markets Foundation, una prima evidente presa di coscienza riguardo la crisi climatica anche da parte degli investitori
L’associazione ha infatti commissionato proprio un sondaggio che ha coinvolto oltre 200 elementi della community degli investitori per cercare di comprendere quelle che sono le idee di questo settore così importante anche per l’agroalimentare. Quello che risulta immediatamente consolante è che anche proprio nella community degli investitori si stia facendo pesantemente strada l’idea che occorra trovare il modo di limitare la crisi climatica che rischia di trasformarsi in uno tsunami.
Nel comunicato stampa pubblicato sul sito dell’associazione ambientalista vengono riportati alcuni dati che riguardano gli effetti sul clima di quelli che sono ormai riconosciuto universalmente tra i responsabili principali delle emissioni climalteranti, gli allevamenti intensivi e alcune produzioni agricole, ma soprattutto la percezione da parte degli investitori su quanto il non fare nulla rischia di generale asset destinati a perdere rapidamente valore fino a non averne più del tutto.
Stando alle stime della comunità scientifica, ed è una realtà che gli investitori devono tenere in conto se non vogliono rimanere sul lastrico, ci sarà comunque una diminuzione che rischia di toccare il 10% nel numero di capi di bestiame entro il prossimo 2050, anche senza raggiungere e superare la soglia critica dei 2°C. Il che rischia di tradursi in perdite economiche comprese tra 9.7 e 12.6 miliardi di dollari.
Ma gli appelli degli scienziati, per i quali occorre notare che più di recente l’allarme è che non si raggiunga più un aumento di 2 °C ma che si tocchino i 3°C, sono sempre stati percepiti almeno finora come parole vuote rivolte solo ai cittadini che prendono l’auto quando invece la crisi climatica nasconde in sé anche una crisi strutturale di cui adesso sembrano rendersi conto anche gli investitori.
E andando a guardare quelli che sono i risultati del sondaggio commissionato dall’associazione ambientalista scopriamo che c’è per esempio un 61% di chi ha partecipato che parla di distinta possibilità mentre quasi un quarto degli investitori ritiene che il rischio di avere stranded asset sia molto probabile. Va chiarito che le preoccupazioni principali degli investitori non riguardano l’innalzamento della temperatura per la salvaguardia della biodiversità ma per la salvaguardia del proprio portafoglio.
Ciononostante sapere che tre quarti di chi ha partecipato al sondaggio ha dichiarato di essere preoccupato dai cambiamenti climatici, benché la preoccupazione sia proprio nella disponibilità e nella realizzazione di prodotti di investimento e di opportunità, è un numero importante. Ancora più importante è quel quasi 80% di chi ha risposto che ha dichiarato che si aspetta che i cambiamenti climatici avranno un impatto tra moderato e significativo sull’industria della carne e dei prodotti derivati e sui prodotti e sulle opportunità di investimento associate.
E altrettanto interessanti sono i numeri e le reazioni riguardo le attività di greenwashing e la mancanza di azioni concrete per combattere il cambiamento climatico. Come pianeta non possiamo aspettare che la crisi climatica tocchi i grandi portafogli ma se già una buona percentuale di chi si occupa di investimenti vede nella crisi climatica un pericolo al proprio tenore di vita e alle proprie possibilità economiche, come comunità globale accettiamo anche la loro preoccupazione perché, forse paradossalmente proprio nel momento in cui alcuni grandi attori si renderanno conto di quanti soldi ci sono a rischio con i cambiamenti climatici, avremo le regolamentazioni che stiamo chiedendo a gran voce da tanto tempo.