In occasione della pubblicazione del rapporto annuale ISTAT per questo 2022 abbiamo scelto di andare ad esaminare quelli che sono i dati e soprattutto le prospettive che riguardano la transizione ecologica nel nostro Paese
Il rapporto è stato presentato ufficialmente lo scorso 8 luglio dallo stesso presidente dell’Istituto di statistica Gian Carlo Blangiardo e ovviamente nella presentazione così come nel rapporto c’è ampio spazio agli effetti della pandemia sulla vita quotidiana dei cittadini, sui comportamenti, sulle capacità dei singoli. E c’è un paragrafo che tratta espressamente il tema della transizione ecologica.
Si tratta questo di uno dei punti centrali del PNRR, come ricorda anche la stessa introduzione al rapporto annuale. Nel primo capitolo, che tratta quelle che sono le prospettive della ripresa nel corso del 2022 si fa esplicito riferimento alla transizione ecologica anche se, occorre specificare, il contesto è quello delle cosiddette “sfide”.
Perché di questo effettivamente si tratta: riuscire a portare a compimento gli interventi ambiziosi che ci siamo dati nel PNRR e che riguardano anche una maggiore consapevolezza ecologica è una sfida. Una sfida al nostro modo di pensare, al nostro modo di organizzare la vita e al nostro modo di vedere gli investimenti, troppo spesso sprecati o distorti.
Come ricorda il paragrafo dedicato a questo argomento, “una parte significativa dei finanziamenti legati al PNRR è stata destinata a interventi e misure connessi alla transizione ecologica“. Ci sono previsioni di finanziamento per quasi 60 miliardi da qui al 2026 con 6 miliardi da destinare ad incremento delle rinnovabili e all’introduzione dell’idrogeno tra i combustibili.
Quello che l’ISTAT registra di positivo è che nonostante siamo ancora parecchio lontani da quell’idea di neutralità climatica che comunque dovremmo raggiungere “la tendenza alla riduzione dell’impatto ambientale dell’attività produttiva e della mobilità è già in atto“.
E questa è sicuramente una ottima notizia che viene dal miglioramento di alcuni indicatori. Primo fra tutti quello relativo alle emissioni complessive che sono scese rispetto agli stessi parametri del 2011 di circa il 19%. Ovviamente, non si può non tenere conto del fatto che parte della riduzione delle emissioni deriva anche da una minor produzione dovuta a una minor richiesta, a sua volta generata da una contrazione dei consumi a seguito dell’aumento dei prezzi.
L’ISTAT comunque fa notare che a livello di transizione ecologica la diminuzione delle emissioni per le attività produttive, anche se non sembra esserci una diminuzione generalizzata, si è realizzata comunque in concomitanza con una lieve crescita economica. E sempre l’Istituto di Statistica rileva che una parte del merito della riduzione delle emissioni viene dall’aumento della produzione di energia da fonti rinnovabili che hanno potuto beneficiare tra gli anni 2016 e 2020 di 54 miliardi di euro di incentivi.
Ma nonostante gli incentivi ci sono ancora diversi comparti tra le attività produttive che, utilizzando come metro di paragone l’indice SEI (Supply-chain Environmental Impact, indice di impatto ambientale della catena produttiva) generano un impatto ambientale di gran lunga superiore a quello che è il loro valore aggiunto. Tra le attività che producono l’impatto maggiore ci sono il trasporto marittimo, la metallurgia e l’agricoltura che figura con un valore pari a 6,1, con un lievissimo miglioramento rispetto al 2010. Mostrano invece un indice SEI peggiorato proprio i trasporti marittimi, quelli aerei e le raffinerie.