Superata la scadenza, ecco in quale stato si trova uno dei classici alimenti da consumarsi fresco. Di cosa stiamo parlando
Dal momento in cui si nasce, il primo istinto – come nel resto del mondo animale – è quello di cercare il nutrimento. Taluni li conosciamo davvero quando non abbiamo neanche la consapevolezza della nostra identità e sono i primi ad entrato nel linguaggio del corpo e dell’organismo del nascituro. In realtà, si tratta di un solo alimento nella fattispecie, lo stesso che non ci abbandona più per il resto della nostra vita: il latte.
In fondo, tra i “cuccioli” dell’essere umano, il latte è necessario quanto la primaria e basilare modalità di alimentazione: il neonato, infatti, varca i confini della placenta e dopo aver procacciato la sua alimentazione dalle sostanze circolanti nel cordone ombelicale, si espone alla sua nuova e lunga esperienza al mondo, attingendo alla fonte del latte materno. Nella sua crescita, il bisogno assumerà forme diverse ma lo accompagnerà per tutta l’età adulta.
Arcaico è anche il rapporto con tutti i derivati del latte: in primis, i formaggi, passati dalla tradizione pastorale con il latte vaccino, di capra o di pecora, all’industria agroalimentare, che ha contribuito a stimolare l’iconica tradizione gastronomica italiana. A latere, c’è da dire che l’industria ha incluso il latte anche nei suoi stessi “derivati” di consumo: merendine, snack, gelati confezionati.
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Alcune persone debbono in ogni caso rinunciarvi a causa di un’eventuale intolleranza alimentare. Certo, quando lo acquistiamo al supermercato, viene spontaneo verificarne la data di scadenza indicata nella confezione in quanto conosciamo l’importanza di consumarlo entro i termini che ne garantiscono la freschezza. La data di scadenza (DDS) indica che oltrepassando il termine, il prodotto non può essere più consumato.
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La freschezza del latte è riconosciuta nel limite di 6 giorni, ma ne bastano quattro per il ritiro dalla vendita. È il latte stesso a comunicare il suo stato di commestibilità perché mentre i giorni passano, le proprietà organolettiche si modificano fino a estinguersi. Col tempo, infatti, si riscontrerà in tutta evidenza un odore molto acido che si riflette anche nel gusto. Può accadere che distrattamente si consumi del latte scaduto e a seconda del soggetto, possono subentrare spiacevoli effetti, innanzitutto a partire dall’apparato digerente. Un fisico già provato da altri sintomi può scatenare nausea, vomito, dolori addominali e diarrea, nonché febbre.