Il desiderio di autonomia e il riequilibrio con i tempi personali si riassumono in un nuovo modello economico e sociale insieme. I dettagli
Le rivoluzioni hanno storicamente avuto un denominatore comune; anzi, un aggettivo comune: giovani, sono sempre state giovani. Certo, non viviamo un momento storico piastrellato di barricate, e nella sostanza il tempo delle folle è démodé. I cambiamenti sono oggi meno traumatici, non colgono di sorpresa; essi sono più simili a virus che si trasmettono da soggetto a soggetto, vivendo la propria “malattia” ciascuno secondo il proprio organismo.
La tecnica ha contribuito ad individualizzare ciò che avremmo chiamato “fenomeno” e la tecnologia non ha fatto che concedere gli strumenti affinché ognuno di noi si facesse la propria rivoluzione, su misura. Come riportato anche da Secondo Welfare, citando un interessante e recente articolo del Corriere della Sera, il fenomeno della Yolo economy è sempre meno un mistero.
C’è chi lo definisce un “movimento”, che di giorno in giorno prende sempre più piede. Già l’origine del nome è alquanto attraente: YOLO, infatti, è l’acronimo di “You Only Live Once”, tradotto dall’inglese “si vive una volta sola”. Le prime luci si sono accese oltre dieci anni fa, e dopo la pandemia, la nuova frontiera economica ha i riflettori puntati addosso. Perché è dalla lunga esperienza del lockdown che ha trovato le condizioni migliori per crescere e svilupparsi.
La Yolo economy viene individuata sin dal 2021 negli Stati Uniti da alcuni giornalisti, i quali, nella lettura dei dati statistici sul mondo del lavoro, hanno rilevato come l’ansia e il timore di perdere la propria occupazione abbia generato un non scontato (di sicuro nuovo) “coraggio professionale”. Intendiamoci, non si va molto lontano in assenza di buonissime competenze e qualche solida risorsa economica.
Senza dubbio, si è cominciato a registrare, trasversalmente, in vari settori economici, un crescente numero di dimissioni da parte di lavoratori che non solo si licenziano, ma cambiano occupazione e città, altri iniziano a viaggiare; ma tutti, ponendo al centro l’attenzione verso la famiglia e gli amici, e l’importanza al tempo libero, declassando la priorità su lavoro e carriera.
L’incertezza della pandemia da Coronavirus ha confermato la maturità di una nuova convinzione, che includesse – senza paura – libertà e felicità. Come detto, varcare questo territorio non è per tutti, almeno per il momento: ad integrarsi rapidamente sono state le nuove generazioni di lavoratori operanti nel mondo digitale, dove il lavoro da remoto è oramai un’indiscutibile prerogativa.
La stessa Microsoft, in una sua ricerca, ha evidenziato come “le offerte di lavoro da remoto su LinkedIn sono cresciute di oltre cinque volte tra marzo e dicembre 2020”. Il lavoro è come non mai identificato come un’azione da svolgere, priva di un luogo da raggiungere. La nuova occupazione può essere un lavoro da dipendente o da libero professionista, purché risponda alle esigenze della vita; per questo, non è escluso che dopo il licenziamento si schiuda un'”avventura” per la persona.
Con il lavoro da remoto, salta definitivamente lo scambio sociale, ossia quella dimensione del “sacrificio”, quello che ha barattato la vita privata con riconoscimenti economici e sociali; ma la consapevolezza che pur stando chiusi per ore in ufficio non modifichi nulla in termini di gratificazioni, prima o poi induce ad abbandonare il luogo e a partire verso l’altrove.
Se da una parte si viaggia molto (appannaggio di una nicchia di professioni), dall’altra – non lo si nasconde – si trascorrano talvolta anni in relativa solitudine, dovuta alla mancanza di integrazione nel territorio ospitante. Sta di fatto che nonostante tutto, la Yolo economy non ha cambiato sistematicamente le carte in tavola: in maggioranza, i giovani hanno a che fare con le più tradizionali esperienze di lavoro, restando nella faglia che recide in due un mercato sempre più disuguale.