Le spiagge libere sono sempre meno in Italia. Il paradosso è che non esiste legge che stabilisca un massimo di suolo occupato dagli stabilimenti
Estate, mare, ombrelloni, salsedine, crema solare. Su queste parole numerose composizioni musicali dagli ani Sessanta ad oggi. Questo perché la colonizzazione estiva massificata delle spiagge è stata un fenomeno sempre in crescendo. Così come di conseguenza lo è stato il cemento nelle località balneari e nelle spiagge stesse.
Il 2022 si è aperto con una triste consapevolezza: tra stabilimenti ed erosione delle spiagge, sono davvero pochi gli spazi di spiaggia libera rimasti. Quindi l’immagine della famiglia che si muove con ombrellone, pranzo, asciugamani e tutto il necessario per soggiornare una giornata intera al mare in spiaggia libera rischia di rimanere relegato ad un immaginario musicale e cinematografico oltre che della memoria.
Il paradosso è che esiste un testo di legge, datato 2004 con numerosi aggiornamenti in corso, sulla tutela del paesaggio, di cui anche le spiagge fanno parte. È evidente che ammassando migliaia di persone in fette sempre più esigue di spiaggia diventa difficile preservarla. La legge stabilisce che chiunque può passare all’interno di uno stabilimento balneare gratuitamente per avere accesso al mare, e che i 5 metri dalla linea di battigia sono usufruibili gratuitamente per il passaggio. Il problema sorge quando dopo il bagno al mare ci si vuole stendere al sole per asciugarsi. E lì torna la ricerca delle spiagge libere.
Legambiente, in un report datato 2022, fa il punto sulle spiagge libere e sulle concessioni su tutto il territorio nazionale. Si ricorda infatti, che le spiagge, come il mare, sono demanio pubblico, ed in quanto rale, non alienabili, ovvero non vendibili. I proprietari degli stabilimenti hanno dalla loro parte la concessione dello spazio, non la proprietà. Solo che negli anni i procedimenti di trasparenza sulla concessione degli stabilimenti ha lasciato molto a desiderare.
L’associazione conclude che c’è molto lavoro da fare, specialmente per rettificare la violazione del diritto dei cittadini ad usufruire del demanio pubblico: “Nella prossima legislatura si approvi una legge nazionale per garantire il diritto alla libera e gratuita fruizione delle spiagge e un quadro di regole certe che premino sostenibilità ambientale, innovazione e qualità”.
E nel 2024 dovrebbe diventare efficace un Ddl che rettificherà la situazione, rendendo più concorrenziali le concessioni demaniali per gli stabilimenti balneari. Infatti finora il meccanismo è andato avanti per inerzia con le proroghe infinite delle concessioni, che hanno lasciato poco spazio ai nuovi imprenditori. Una concorrenza efficace dovrebbe lasciare spazio alle idee più innovative premiando l’inclusività e la sostenibilità degli spazi pubblici di cui i privati fanno enormi profitti.
Ed anche su questo capitolo Legambiente si è espressa. I canoni esigui figli delle proroghe infinite apportano allo Stato, e quindi al pubblico, cui le spiagge veramente appartengono, hanno bisogno di maggior trasparenza, così come l’assenza di un censimento preciso degli stabilimenti e delle concessioni balneari. Finché questi vuoti non verranno colmati ci sarà poco da fare.
Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente: “In Italia non esiste una norma nazionale che stabilisca una percentuale massima di spiagge che si possono dare in concessione. Un’anomalia tutta italiana a cui occorre porre rimedio”.
Gli fa eco Sebastiano Venneri, responsabile territorio e innovazione di Legambiente: “Parlare di spiagge significa anche parlare di sostenibilità ambientale. Occorre accelerare nella direzione della qualità e sostenibilità ambientale, replicando quelle esperienze virtuose e green messe in campo già da molti lidi e apprezzate sempre più dai cittadini che cercano qualità e rispetto dell’ambiente.