La difesa delle fonti fossili attraverso la militarizzazione dei rapporti con il Sud del mondo, come uscire dalla crisi energetica. Il report Greenpeace
I rapporti tra crisi energetica ed aumento delle spese militari sono sempre più evidenti nelle decisioni che Governo e forze parlamentari hanno preso negli ultimi mesi. I numeri sono evidenti: nel 2022 i costi per la difesa militare degli interessi energetici italiani sono aumentati di 870 milioni di euro, il 9 per cento in più rispetto al 2021, il 65 per cento in più rispetto al 2019.
Le spese miltari per missioni finalizzate alla stabilizzazione delle aeree di approvvigionamento energetico corrispondono al 71 per cento dell’intero capitolo di spese per azioni delle forze armate all’estero. La denuncia fatta da Greenpeace è impietosa.
La stretta relazione tra aumento delle spese militari e strategie energetiche italiane passa attraverso l’uso delle forze armate per scongiurare e controllare “scenari di crisi conseguenti tanto alle minacce convenzionali, quanto a quelle ibride”, come “le restrizioni all’approvvigionamento energetico”. Secondo le dichiarazioni del Ministro della Difesa Lorenzo Guerini.
Dunque la diversificazione delle fonti energetiche si attua con il consolidamento della stabilità militare delle regioni considerate come alternative valide alla dipendenza dalle risorse russe. La tutela e la difesa della sicurezza energetica italiana ed europea come obiettivo primario dei governi che corrisponde con la tutela e la difesa degli asset dell’industria petrolifera ed estrattiva.
La scelta fatta dall’Europa e dall’Italia è nella continuità con i tradizionali obiettivi strategici e politici che privilegiano i combustibili fossili come primaria fonte energetica. Nell’attuale contesto internazionale di confronto economico serrato tra le grandi potenze, il risultato è un impegno militare italiano sempre più massiccio a difesa degli interessi energetici nelle regioni considerate strategiche.
Gli esempi lampanti sono le due nuove missioni militari previste nei prossimi mesi. La prima di supporto alle forze armate del Qatar in vista dei mondiali di calcio del dicembre 2022. La seconda nel nord del Mozambico, scosso da una violenta tensione etnica e sociale. Tali interventi delineano un’espansione della consueta area di interesse delineata dalla politica italiana.
Nella fase odierna di competizione sempre più accesa per il controllo delle fonti e risorse energetiche, oltre alle tradizionali aree di interesse italiano in Algeria, Libia, Iraq e Penisola Arabica, si aggiungono Africa sub-sahariana e Mediterraneo orientale. L’obiettivo strategico resta lo stesso: la difesa degli interessi strategici che corrispondono con gli interessi dell’industria estrattiva e dei combustibili fossili.
Questo spiega le missioni in Iraq, tra i principali fornitori di greggio dell’Italia, al largo della Libia, tradizionale e principale sponda degli interessi petroliferi nazionali, contro i pirati somali e nel golfo di Guinea, nello stretto di Hormuz, snodo di passaggio findamentale da e per il Golfo Persico, con il compito di sorvegliare e proteggere piattaforme, petroliere e raffinerie.
Da questo quadro emerge il disinteresse della politica per tutte le analisi che individuano le cause profonde di tensioni e guerre proprio nelle diseguaglianze, nello sfruttamento, nel disastro ambientale legato alla presenza dell’industria estrattiva e dei combustibili fossili, i cui interessi Italia ed Europa difendono con le armi.
“Il nostro Paese deve smettere di proteggere militarmente gli asset e gli interessi dell’industria dei combustibili fossili, puntando con decisione sulle fonti rinnovabili e sul risparmio energetico. Solo così potremo assicurarci una maggiore indipendenza energetica e tutelare davvero l’ambiente e la pace”. Come afferma Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace Italia. Un impegno imprenscindibile per chiunque abbia a cuore la pace e l’ambiente.