La Procura di Roma in questi giorni ha aperto un fascicolo sulla tassazione mancata degli extraprofitti energetici
Il caro bollette sta invadendo l’economia familiare dei consumatori finali come un’epidemia dilagante a cui si deve trovare presto rimedio. La causa più facilmente imputabile, figlia del populismo dell’informazione mainstream a cui siamo ormai tristemente abituati, è che il conflitto tra Russia ed Ucraina sia la causa di tutti i mali.
Trovare un nemico comune è storicamente una buona politica per procrastinare speculazioni sottostanti che trovano difficoltà ad emergere. E mentre la crisi diventa sempre più profonda, c’è chi ne trae profitto. È un meccanismo lontano, che la ‘democratica’ Europa non è riuscita a scalfire, anzi, negli ultimi decenni anche ad esacerbare.
Le aziende fornitrici di gas ed energia elettrica, secondo alcune stime fornite da Europa Verde, hanno aumentato notevolmente i propri guadagni. Solo per fare i conti all’Eni, che è di proprietà pubblica, si parla di 20 miliardi di euro tra 2021 e 2022. E a rigor di logica se il gas costa di più ai consumatori finali, a causa della penuria di materie prime, e quindi discrepanza tra domanda ed offerta, dovrebbe costare di più anche alle aziende di fornitura. Ed invece i guadagni delle big company sono aumentati. Perché?
Tutta la questione risiede nei contratti di fornitura. Da quanto si legge nel dizionario Treccani, l’extraprofitto è “l’eccedenza sul profitto normale del profitto effettivamente conseguito dalle imprese non marginali”. E questa eccedenza sta nel meccanismo di approvvigionamento del gas. In parole povere, il gas erogato al momento, era stato acquistato già prima del conflitto, a prezzi decisamente inferiori, ed ora rivenduto con le quotazioni in corso. Da questa pratica commerciale che senza troppi indugi potremmo definire scorretta, nascono profitti enormi per le aziende.
Per contenere il caro bollette, e spalmare i profitti con chi del gas ne fa consumo, il 13 giugno scorso l’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente ha dichiarato che “ritiene opportuno che una parte del gettito derivante dai provvedimenti fiscali a carico delle aziende del settore sia destinato ai clienti finali che ne hanno sostenuto l’onere”.
E qui sorge il secondo problema. Oltre a lucrare senza ritegno sul consumatore finale, le aziende si rifiutano di pagare la tassa sugli extraprofitti. Il decreto Aiuti bis aveva normato questa imposta per ottenere un gettito calcolato nell’ordine dei 10,5 miliardi di euro. Per il momento ne è stato raccolto meno di un decimo. Le big company dell’energia si sono rifiutate di pagare queste tasse appellandosi alla presunta ‘incostituzionalità‘ della richiesta.
Le associazioni dei consumatori, tra le quali Codacons, hanno puntato i riflettori sul tema. Ed ora la Procura di Roma ha deciso di aprire un fascicolo per indagare sulla questione, ed ha incaricato la Guardia di Finanza di redigere un’informativa. Ma per il momento non sono stati identificati reati specifici né indagati, nonostante Sinistra Italiana e Verdi abbiano ipotizzato i reati di evasione fiscale e frode per le “tasse non pagate dai colossi energetici”.
La questione è stata appena aperta, e le grandi aziende rimarranno probabilmente ferme sul proprio punto, tenendosi stretti i profitti. La soluzione rimane sempre la medesima: trovare fonti alternative di approvvigionamento dell’energia, non dipendenti né da Stati esteri né da aziende che erogando beni primari potrebbero ottenere dei vantaggi solo con intenzioni ‘ricattatorie”, per cui senza di esse tutte le attività produttive verrebbero meno. Basta un po’ di coraggio.