Più di 600 realtà sociali puntano il dito su partiti e media; troppi i temi esclusi dalla campagna elettorale. Vediamoli in dettaglio
Domenica 25 settembre 2022 gli italiani saranno chiamati al voto per scegliere la forza politica che darà vita al esecutivo dopo la breve esperienza come Presidente del Consiglio Mario Draghi. Le dimissioni che l’attuale premier ha presentato al Presidente della Repubblica il 21 luglio scorso, hanno aperto una delle campagne elettorali più controverse della storia repubblicana di questo Paese.
È stata una caccia al voto iniziata fuor di metafora “sotto l’ombrellone”, con comizi e volantinaggio somministrato nelle ferie balneari degli italiani in vacanza; insomma, in un contesto poco consono al confronto politico e soltanto poche settimane a disposizione per riflettere sulla scelta di voto dei partiti candidati. Il tempo insufficiente per dibattere sulle proposte ha fatto sì che le tematiche poste sul piatto della discussione fossero anch’esse limitate.
È ciò che denunciano il “Forum Disuguaglianze e Diversità” e il Comitato del “5 novembre in piazza” insieme ad altre 600 tra associazioni, reti sociali, comitati, cooperative e sindacati, promotrici di un manifesto che sta portando alla costruzione della mobilitazione del 5 novembre 2022, appunto, a Roma. Ovviamente si tratta di una mobilitazione nazionale, contro le disuguaglianze e l’esclusione, in nome della giustizia sociale e dell’ambiente.
“Non per noi ma per tutti”; questo è il titolo, assai emblematico ed esplicito, che si è voluto dare alla manifestazione, ma che tuttavia cela un’altra verità di fatto, quella che giustificherà la presenza in piazza delle più disparate realtà del sociale in Italia: la sparizione in blocco delle tematiche sociali – tout court – dall’agenda della politica italiana, presente e – scandagliando i programmi elettorali – quella futura.
I cosiddetti “problemi reali” sono ben lontani dall’essere seriamente affrontati con sistematicità, anche perché manca un reale dibattito sulle priorità. In questo silenzio – che non è quello elettorale – crescono il numero delle disuguaglianze, l’esclusione sociale, la povertà su lavoro ed educazione. Di conseguenza, oltre il silenzio, anche il buio nel porto franco dei diritti, alimentato dall’assenza di proposte concrete e realmente attuabili.
Nella carenza di diritti, cresce l’anomalia democratica, ma soprattutto prosperano le mafie. Per i cittadini in difficoltà non esistono politiche abitative. Non è mai stata presentata una riforma del welfare, spinta nel percorso di creare una comunità dei territori; tantomeno richiamando il coinvolgimento del Terzo settore. Si chiede inoltre di rafforzare e migliorare il Reddito di Cittadinanza, quale strumento di partenza per la lotta alla povertà sempre più dilagante in Italia, mentre l’attuale dibattito prevede la sua eliminazione o l’irrigidimento negativo dei parametri d’accesso.
C’è spazio indubbiamente anche per le tematiche propriamente sindacali, immancabili e irrinunciabili: appello alle forze sociali per instaurare un percorso comune; dignità di salario e di stipendio, lotta alla precarietà e diritto alla sicurezza sul lavoro quali basi della vita democratica e civile.
I sostenitori della mobilitazione sono coscienti che l’ampio universo delle tematiche sulle quali è doveroso far luce, emerge sull’orizzonte della crisi climatica, economica e crisi dei popoli; e più internamente, nel quadro della collocazione dei fondi del PNRR. Nello scenario di guerra e di cambiamenti sociali su larga scala e senza precendenti, proprio su questi fondi cala il sospetto che vengano deviati per scopi che non riguardano né la riconversione ecologica né sul cambio di paradigma della salute pubblica. Con la beffa – in un futuro non certo remoto – della loro restituzione.