Limitare lo spreco di prodotti destinati al consumo alimentare, un obiettivo non ancora raggiunto
Tra i traguardi che si pone l’Agenda 2030 dell’ONU, l’impegno contro lo spreco alimentare e la fame nel mondo rimane centrale. Molti governi locali hanno dato vita a progetti e norme legislative che tendono a ridurre gli sprechi e a incentivare i comportamenti virtuosi tanto a livello individuale quanto nelle filiere produttive e distributive. Tuttavia l’obiettivo è ben lungi dall’essere raggiunto.
Nel 2011 la Fao (Organizzazione delle nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura) calcolava che un terzo dell’intera produzione alimentare nel mondo andasse sprecata. Oggi la situazione, nonostante l’attenzione dei governi e la diffusa sensibilità dell’opinione pubblica, è migliorata solo parzialmente.
Gli indici della Fao che evidenziano la questione sono due: l’indice di perdita di cibo (food loss index) e quello di di spreco alimentare (food waste index). Il primo misura la quantità di cibo prodotto che dalle coltivazioni e dagli allevamenti non arriva ai consumatori finali. Tali prodotti, perfettamente commestibili, non vengono scartati per questioni igieniche o di qualità.
Bensì per dimensioni o aspetto esteriore che non sono giudicate idonee alla commercializzazione. Oppure per problemi durante le fasi di raccolta, di stoccaggio, di confezionamento e di trasporto. Tutte le fasi della filiera dall’approvvigionamentto alla vendita al dettaglio, quindi.
L’altro indice rileva l’entità degli alimenti, soprattutto freschi, sprecati nella ristorazione, nei punti vendita, nelle abitazioni private a causa di una cattiva conservazione, a un’errata programmazione dei pasti, o della variabilità della domanda di un determinato prodotto. Anche l’errata interpretazione delle etichette ha un peso nello spreco alimentare.
Il Food Waste Index Report dell’Unep (United Nations Environment Programme), il Programma del Nazioni Unite per l’ambiente, calcola che nel 2019 lo spreco alimentare ha raggiunto la cifra di 931 milioni di tonnellate. Corrispondente al 17 per cento di tutto il cibo disponibile nel mondo. Ben l’11 per cento di questo sperpero avviene in ambito domestico.
Un dato in peggioramento secondo la Fao: le ultime cifre parlano di 1,3-1,6 miliardi di tonnellate di cibo commestibile sprecato (circa un terzo del totale). Una quantità incredibile a fronte dell’aumento costante della popolazione mondiale. Le cause di queste perdite sono le scelte poco sostenibili (iper consumistiche) in tutta la filiera dalla produzione al consumo. E riguardano tutti Paesi sensa distinzione di reddito.
Di questo passo lo spreco alimentare potrebbe arrivare da qui al 2030 al 40 per cento di tutta la produzione alimentare, oltre 2 miliardi di tonnellate all’anno. Una realtà insostenibile per il pianeta alle prese con guerrre, carestie, povertà estrema. A livello locale le misure adottate hanno impatti diversi. La Francia fin dal 2013 è all’avanguardia in strategie legislative e culturali indirizzate a contenere lo spreco alimentare (campagne di sensibilizzazione dell’opinione pubbliche e norme antispreco per esercenti e ristorazione).
Anche la Spagna ha recentemente approvato delle leggi che coinvolgeranno nella politica contro lo spreco le industrie del settore agroalimentare la grande distribuzione, la vendita al dettaglio e la ristorazione. Le misure vanno dalla produzione di alimenti conservati con i prodotti freschi non commercializzati, alla creazione di linee per merce “poco attraente”. Aumentando l’offerta di prodotti stagionali, locali e biologici, dalla vendita a prezzi ribassati per i cibi prossimi alla scadenza, all’obbligo di piani antispreco per tutti gli attori della fliera.
La Cina è all’avanguardia per le applicazioni che aiutano nell’evitare gli sprechi. In Italia esiste una vasta consapevolezza a livello individuale, con comportamenti spesso virtuosi. Sono attive importanti iniziative private e di associazioni. Ma quello che è deficitario è una legislazione più attenta (l’unica legge antispreco è del 2016 con campagne informative scolastiche) e che miri alla prevenzione.
Senza politiche integrate e maggiori responsabilità produttive e comunicative, che coinvolgano tutte le parti della filiera, gli obiettivi dell’Agenda 2030 resteranno certamente irrangiungibili.