La scelta responsabile di un capo di abbigliamento inizia dalla qualità del materiale del quale esso è composto. Vediamo perché
Un Paese come l’Italia – come si suole dire – dovrebbe saperla lunga. Nel corso dei secoli, la penisola ha partorito una delle migliori tradizioni legate alla produzione di tessuti, pregiati e no, al servizio dell’abbigliamento più raffinito e rappresentativo di un certo potere, o degli arredi negli edifici più sfarzosi; col più vicino a noi secondo dopoguerra, la tradizione si è declinata in un impareggiabile successo dell’alta moda “made in Italy”.
Il brevissimo excursus è necessario quale cartina di tornasole di un’attualità dalla visione strategica, nel campo della cura del proprio “look”, estremamente diversa. Il progressivo moltiplicarsi delle fabbriche di produzione verso l’Estremo Oriente, dovuto all’abbattimento poderoso dei costi di lavorazione e dei lavoratori, ha decimato un secolare savoir faire delle maestranze nostrane, ma dall’altro ha stimolato un mercato permanente del tutto particolare: il fast fashion.
Insomma, non era certo uso delle nonne fino ad una generazione fa (né dei loro figli) di gettar via una buona parte del guardaroba per far posto ad un’altra, stagione per stagione. Il tutto, in nome della moda; di una moda supersonicamente passeggera, fondata su una qualità dei tessuti tutt’altro che brillante fatta più per rinunciarci prima o poi, che per il piacere di conservarla e preservarla; on ovvi riflessi economici (sebbene i capi abbiano prezzi tutto sommato contenuti; ad essere ripetuti sono gli acquisti) sui consumatori.
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È oramai noto che il fast fashion rappresenti una tendenza del sistema produttivo che danneggia l’ambiente. Gli indumenti a basso costo sono prodotti in larghissima scala, ma l’aspetto davvero deteriore è dovuto al fatto che almeno la metà dei capi messi sul mercato sono composti da plastica. Ebbene sì, le materie utilizzate sono: acrilico, poliestere, nylon ed elastan. Tutti materiali campioni di smaltimento di lunga durata.
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L’acrilico, poi, è il maggiore protagonista del guardaroba low cost. La fibra sintetica costituita dal polimero poliacrilonitrile, è al centro dello sfruttamento mondiale della manodopera a bassissimo costo, senza diritti e garanzie (spesso impiegando il lavoro minorile), attingendo dai Paesi in via di sviluppo e sottosviluppati; dell’inquinamento dei mari, con un rilascio annuo di 500mila tonnellate di microfibre; infine di un generaleaumento dei rifiuti in discarica. Nato come alternativa alla lana, l’acrilico non è un tessuto traspirante, quindi meglio se tenuto alla larga nei confronti dei soggetti allergici. Ma nonostante questo, ha superato la produzione e l’impiego di cotone puro e di altre fibre naturali quali il lino, la lana e la canapa.