Mentre i profitti dei brand dell’abbigliamento crescono, i lavoratori non ricevono gli stipendi e i loro diritti sono calpestati
Si è conclusa la campagna internazionale Pay your workers lanciata da una rete internazionale di associazioni e sindacati che difendono i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori in tutto il mondo. Prima della pandemia di Covid milioni di lavoratori del settore tessile, soprattutto nei Paesi del sud del mondo, ricevevano salari da povertà. Ora moltissimi di loro non hanno avuto alcun tipo di indennità per il fermo della produzione durante l’emergenza, non sanno se riceveranno i loro attuali stipendi e se verranno licenziati.
Le cifre sono impietose. Durante i primi 3 mesi della pandemia i lavoratori del settore tessile hanno perso 3 miliardi di dollari a livello mondiale. Il 10% sono stati licenziati e un altro 35% sta per esserlo. Colpiti soprattutto quelli più sindacalizzati e coinvolti nelle lotte per il riconoscimento dei loro diritti.
Mentre i profitti delle aziende sono miliardari, le stesse non garantiscono il rispetto di standard di lavoro e di salario accettabili. Il costo per le multinazionali che consentirebbe a lavoratori e lavoratrici di sopravvivere alla crisi corrisponde a 10 centesimi di dollaro a maglietta. Altreconomia ricorda in suo articolo che nel 2021 Adidas ha fatturato utili netti per 2,3 miliardi di dollari.
Ma in Cambogia, il marchio di abbigliamento si rifiuta di pagare alle operaie degli 8 stabilimenti produttivi 11,7 milioni di dollari di salari spettanti per i 14 mesi della pandemia (387 dollari a testa). Più di mille lavoratrici sono state costrette a dimettersi senza alcuna liquidazione (3,6 milioni di dollari totali).
Non solo mancati salari e dimissioni forzate, i leader sindacali delle aziende in sciopero sono stati arrestati e le iniziative di rivendicazione duramente represse. Come denuncia Pay for workers, “Adidas è responsabile di ciò che accade nelle fabbriche che costituiscono il suo impero globale e deve assumersi tali responsabilità in ogni Paese in cui produce i suoi capi“.
Alla repressione dei diritti, ai licenziamenti, al peggioramento delle condizioni di lavoro per milioni di lavoratori del tessile è corrisposto un duro colpo ai livelli salariali, con riduzioni degli stipendi che arrivano al 21%, impoverendo ancora più tutti i lavoratori impiegati nella catena di produzione e fornitura globale.
Le responsabilità dei brand globali sono chiarissime. Le dichiarazioni di responsabilità sociale di molti marchi sono insufficienti, se non accompagnate da concreti interventi diretti al miglioramento delle condizioni di lavoro e alla crescita dei salari dei dipendenti della filiera produttiva.
Il mancato rispetto di livelli minimi di tutele sociali e salariali rende questi lavoratori esposti alla povertà e allo sfruttamento. Fare profitti miliardari in paesi con coperture sociali esigue e indigenza dilagante è una scelta dei brand, ma a pagare le conseguenze delle crisi restano solo i lavoratori.