Quando gli insulti su WhatsApp diventano un reato penale e si può chiedere il risarcimento? Ecco cosa occorre sapere.
Lo sviluppo tecnologico con le sue straordinarie innovazioni hanno segnato un punto di svolta in molti campi, con conseguenze positive non indifferenti. Tuttavia, come per tutto, c’è un’altra faccia della medaglia. Pensiamo, ad esempio, alla miriade di App oggi a nostra disposizione, che ci tengono incollati per ore allo schermo. Alcune, pur avendo funzioni utilissime e consentendoci praticamente di tutto, possono anche diventare fonte di problemi. WhatsApp è tra le più usate e amate al mondo, ma occhio a ciò che vi scriviamo. Ecco, infatti, quando gli insulti inviati sull’app diventano reato penale e cosa si rischia.
Come anticipato, WhatsApp è un vero e proprio tesoro per gli utenti: permette non solo di comunicare in tempo reale con chiunque, ma anche di scambiarsi foto, video, fare videochiamate, organizzare gruppi con diversi contatti e così via. Ciò, tuttavia, non ci esenta da rischi: anche su quest’app è possibile commettere degli illeciti. Ecco, nel dettaglio, cosa sapere riguardo agli insulti.
Quando diventano reato penale: cosa tenere a mente per gli insulti su WhatsApp
Ebbene, iniziamo col chiarire che non sempre “parlare male” di qualcuno sfruttando le chat di quest’app comporta il rischio di illecito. Bisogna, infatti, distinguere tra due tipologie di offese: le ingiurie e la diffamazione. Per quanto riguarda le prime, dal 2016 non sono più considerate reato penale, dunque il diretto interessato rischia una sanzione amministrativa. Per la seconda, invece, ci troviamo nel campo del penale, con conseguente rischio di condanna anche ad un risarcimento. Come distinguere le due cose?
La questione sarebbe complessa, ma non impossibile da “sbrogliare”. L’ingiuria, infatti, si presenta quando insultiamo qualcuno in sua presenza, pubblicamente, di conseguenza, nel caso di WhatsApp, quando inviamo un messaggio in un gruppo in cui il soggetto in questione è presente. In tal caso si può agire per danni “morali” che, se riconosciuti dal giudice, potranno tradursi in un risarcimento.
La diffamazione, invece, si palesa quando gli insulti alla stessa sono rivolti in presenza, reale o virtuale che sia, di due o più persone ma non del diretto interessato. In questo caso siamo in campo penale, con conseguenti rischi. Si può quindi procedere con la querela e un giudice stabilirà se quanto accaduto rientra nel “diritto di critica” o se c’è stata, invece, una lesione dell’immagine, valutando, ovviamente, anche il contesto. A quel punto, ci saranno tutte le sanzioni e le conseguenze del caso.