È un amaro addio, la Naspi non può essere percepita per una modalità di licenziamento diffusa come la… peste! Guai per chi ne è soggetto.
Naspi a chi? Addio se si è soggetti ad un tipo di licenziamento attualmente diffuso: la situazione è più grave del previsto. La società è sempre più in preda a difficoltà di un certo peso, non solo a livello economico e fiscale, perché l’ambito previdenziale non scherza. Se in ogni aspetto delineato ci sono delle criticità di sistema, allora è chiaro che diviene ancor più arduo riuscire a far fronte a tutto. Bisogna informarsi ed avere dalla propria tutte le possibilità non solo di risollevarsi, ma quanto meno di… proteggersi! Le peste divagava nel passato, oggi ci sono altre pandemie, ma il solo pensiero che un’estesa tipologia di rapporto di lavoro non concerne più la misura previdenziale, fa paura.
Prendere la Naspi è senza ombra di dubbio un forte sostegno per alcune categorie di lavoratori, ma presto gli si dovrà dire addio. Innanzitutto, bisogna capire con che tipo di istituto abbiamo a che fare. Si tratta di un’indennità mensile predisposta per tutti i lavoratori che hanno perduto involontariamente la propria occupazione. Di conseguenza, si ritrovano in una grave situazione: come fanno ad arrivare a fine mese?
Ecco che l’incubo si fa realtà e peggiora di brutto. Non avere la Naspi per queste categorie, significa perdere quel sostegno economico che aiuta nei tempi bui, quelli nei quali si cerca una nuova occupazione. Se non si lavora, non si può pagare nulla, dall’affitto alle spese quotidiane. Nel tempo della ricerca, bisogna trovar pure un punto d’appiglio? Ma perché si perde il beneficio?
Niente Naspi per questa modalità di licenziamento, come rispondere?
La questione non è nuova, infatti il provvedimento che concerne l’eliminazione della possibilità di percepire la Naspi per una determinata categoria di licenziamento, è stato per lungo tempo una “falla” del sistema. Quindi, dopo anni e anni di impicci, ecco che con la sua abolizione, si è giunti ad una conclusione che cancella una volta per tutte questo blocco. Il punto è che per quanto si ripristinino le suddette condizioni, sono i lavoratori subordinati a subirne le peggiori conseguenze.
Capita spesso che il lavoratore non voglia dare le dimissioni, poiché non è per niente conveniente alla sua situazione economica. Questo perché è molto più proficuo farsi licenziare e ricevere la Naspi. Quindi, capita che quest’ultimo non si presenti con continuità sul posto di lavoro consolidando una sfilza di assenze ingiustificate. Questo comporta una grossa perdita per il datore di lavoro, che alla fine è costretto a mandarlo via prima che questi si muova con le dovute dimissioni. Il punto è che l’obiettivo è proprio quello di farsi mandare via, per ottenere il contributo previdenziale.
Da questo momento in poi, si dice definitivamente addio a questo giochetto. La modifica è stata introdotta dal DDL lavoro approvato dall’undicesima commissione alla Camera. Infatti, entrano in gioco delle “dimissioni di fatto” che eliminano una volta per tutte, le condizioni per attuare questo trucco. Così, il datore di lavoro comunica tutto all’Ispettorato del Lavoro, il quale compiendo i dovuti controlli, definisce se si rientra o meno in questa situazione.
Il periodo da tenere in considerazione è come minimo di 15 giorni. È anche vero che il lavoratore può comunque tutelarsi, dimostrando che non si è potuto recare al lavoro per “cause di forza maggiore”, e di conseguenza le “dimissioni di fatto” che dovrebbero correggere la falla del sistema, non si attuano.